FIMI sull’orlo di una crisi di nervi

FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) ha appena rilasciato un comunicato stampa di questo tono:

“L’accusa di una presunta attività di raccolta dati personali grazie ad un sito dove sono reindirizzati gli utenti italiani di pirate bay è una buffonata colossale che non tiene conto del fatto che ci si trova di fronte ad un procedimento penale seguito dalle forze dell’ordine e dalla magistratura con provvedimenti emessi da magistratura e dalla polizia giudiziaria che non consentono alcuna iniziativa autonoma da parte di privati e che questi ultimi, anche se coinvolti sul piano tecnico, sono comunque soggetti al controllo delle autorità che stanno seguendo l’indagine contro i titolari del sito svedese.

Le accuse mosse all’industria sono pertanto prive di alcun fondamento e porteranno solo a denunce per calunnia e diffamazione nei confronti di coloro che in maniera strumentale stanno cercando di creare ad arte un caso che sposti l’attenzione dal fatto principale che è oggetto dell’azione giudiziaria promossa dalla Procura di Bergamo: l’attività illegale e il conseguente blocco di Pirate Bay per violazione delle norme sul diritto d’autore.”

Questo, almeno, è ciò che riporta Alessandro Longo sul suo sito: http://www.alongo.it/?p=666 .

Sarei un po’ stupido se, come Segretario del Partito Pirata, non mi sentissi fischiare le orecchie. Ed allora, rispondiamo per le rime.

Ma è successo davvero?!

Il reindirizzamento del traffico da ThePirateBay.org verso la rete di Pro Music è stata denunciato pubblicamente, sul web, da diversi osservatori.

Torrent e P2P

LastKnight

Peter Sunde

WebMasterPoint

Federico Pistono

Daniele Minotti

Ancora Lastknight

TechUp

MVPNNetwork

ALCEI

Ma, tranquilli, non è così. Abbiamo sognato tutti quanti.

Se adesso tentate di fare un Reverse DNS di 217.144.82.26, ora ottenete un bel “localhost” (cioè il vostro PC).

Come fa notare MVPNNetwork:

“Tuttavia, a differenza di quanto sostiene Matteo Flora, oggi l’IP 217.144.82.26 in reverse non si risolve più in pro-music.org bensì in localhost. Altra cosa, questa, piuttosto dissonante rispetto alle più banali regole RFC, la Bibbia della Rete. E sembra quasi voler occultare la vera posizione dell’IP, a cui tuttavia si può risalire con un banale whois. Viceversa, Pro-Music.org si trova sull’IP 87.84.226.198, che risulta comunque appartenere all’IFPI.”

Infatti, nessun indirizzo IP “esterno” dovrebbe risolvere su localhost in questo modo. Solo gli IP assegnati a localhost dal suo stesso file hosts dovrebbero risolvere in questo modo (di solito 127.0.0.1, 10.0.0.1 o 192.168.0.1).

Cos’è successo? Semplicemente che, vista l’ombra di una causa penale per violazione di un decreto di sequestro preventivo di un magistrato, gli ISP hanno deciso di riparare alla cazzate che avevano appena commesso. Nelle parole di eth0:

“fino a qualche giorno fa, come aveva fatto notare tra gli altri Matteo Flora, il reverse dell’IP verso cui alcuni provider italiani dirottavano gli accessi diretti a TPB puntava verso Pro-Music.org (sito riconducibile ad IFPI). Ora, invece, il reverse fa uscire fuori un bel “localhost”.

Viste le non indifferenti polemiche di questi giorni, viene abbastanza facile pensare che “qualcuno” abbia preferito abbassare il profilo.

A quanto pare qualcuno ha fatto una cazz… il passo piu` lungo della gamba.”

Si tratta di qualcosa di grave?

Beh, si. Il decreto di sequestro preventivo emesso dalla magistratura parlava esplicitamente di blocco, non di reindirizzamento. Il mandato è quindi stato violato (e non è stato violato in un modo “casuale” e privo di conseguenze). Si tratta di un reato penale (è prevista la galera).

Non solo: questa azione ha esposto i navigatori al pericolo di vedersi schedare da una azienda straniera. C’è quindi una evidente violazione delle più ovvie norme di comportamento che devono esistere tra fornitore e cliente. Si tratta di un “reato” civile, per il quale si possono chiedere i danni all’ISP.

Senza parlare della privacy. Reato penale.

Chi è stato?

Sarà stata la Guardia di Finanza a mettere in atto questa curiosa redirezione? Potrebbe essere. L’esecuzione del decreto di sequestro dipende in primo luogo dalla GdF ma… a che pro? Che motivo avrebbe avuto la GdF di fare una cazzata del genere? Non le mancano certo i server su cui ospitare una pagina come quella.

Saranno stati i provider? Potrebbe essere. Dopotutto alcuni di loro operano nel mercato dei media e si sono già fatto notare per le loro politiche di traffic shaping e QoS. Però, la goffaggine di una simile manovra non è da tecnici di reti come quelli dei provider.

O sarà stata Pro Music? O, più esattamente, IFPI (di cui Pro Music è una emanazione), magari attraverso il suo “braccio italiano”, cioè FIMI? Questa ipotesi, francamente, è più credibile. Soprattutto se si pensa che un organismo “anti-pirateria” interno a FIMI, cioè FPM, ha agito come consulente tecnico della GdF per tutta la durata delle indagini (per stessa ammissione di FIMI e della GdF).

Adesso cosa vogliamo fare?

FIMI e gli ISP vogliono forse far credere che tutti quanti gli specialisti di rete di Internet hanno sognato?

I provider vogliono continuare a giocare con i DNS, come se su Internet non ci fossero testimoni e file di log a sufficienza per smascherarli?

FIMI e gli ISP vogliono forse fare causa a mezza Internet per avere detto pubblicamente che LORO hanno chiaramente ed innegabilmente commesso (almeno) un reato penale?

Bah, noi del Partito Pirata, insieme ai colleghi di ALCEI (e accompagnati da una mezza dozzina di avvocati specializzati in questioni di rete), stiamo andando a chiedere chiarimenti a FIMI ed ai provider attraverso il Garante delle Comunicazioni e la Magistratura ordinaria.

Ne parleremo in aula.

Alessandro Bottoni

alessandro.bottoni@infinito.it

Segretario dell’Associazione “Partito Pirata Italiano”

Comments
12 Responses to “FIMI sull’orlo di una crisi di nervi”
  1. Daniele Minotti ha detto:

    Al di la’ degli aspetti tecnici che non mi competono, posso dire che ancora due minuti fa cercando di collegarmi su http://www.thepiratebay.org sono stato rimbalzato su 217.144.82.26/pb/, con tanto di pecettone intenstato alla GdF (ISP mobile 3, contratto business – con Alice residenziale non succede).
    Non mi drogo, non mi sono mai drogato.

  2. blackout ha detto:

    Se serve sono pronto a fare una donazione per sostenere le spese legali.
    Mi sono rotto il ca.zzo di queste associazioni per delinquere chiamate FIMI o FPM.
    Hanno sbagliato e adesso PAGANO

  3. blackout ha detto:

    L’esperienza in italia di entità sovrannaturali e delle loro apparizioni e azioni è stata arricchita di un nuovo interessante evento: uno scoop da inviare al CICAP allo scopo di indagare o per chi ama di più la filmografia (vedi cinefili) potremmo contattare i famosi acchiappa-fantasmi newyorkesi, ai secoli i famosissimi “Ghost Busters” (loro si che se ne intendono di attività sovrannaturali ectoplasmatiche)[…]

  4. lealidellafarfalla ha detto:

    ma…mi sembrano un po’ partiti per la tangente questi savonarola delle discografia

  5. mic ha detto:

    provo a portare altri elementi alla discussione: il mio provider dapprima ha rediretto tutto a localhost, poi su una pagina web con logo della GDF, ma tale sito ero hostato su un IP del mio stesso provider.

    Allora mi chiedo: se la magistratura (e poi la gdf) aveva emesso una ordinanza in cui si chiedeva il redirect verso quell’infame IP, il mio provider è passibile di denuncia?

    Se invece come credo il mio provider ha agito correttamente, chi ha sbagliato?

    Seconda domanda: come è possibile che a collaborare alle indagini sia una parte lesa (FPM)? Non sono certo un giurista, piuttosto un tecnico, ma questo non è in violazione alle più elementari norme di diritto?

    Ho catturato anche io diversi screenshot e dump con wireshark, le prove ci sono….

  6. guiodic ha detto:

    bravo Alessandro! loro dicono di essere per la legalità? vediamo se la legge l’hanno rispettata per primi.

  7. Francesco ha detto:

    La GdF ha spesso l’abitudine di « delegare » pilatescamente la propria attività di controllo a « consulenti tecnici » in realtà espressione del ceto imprenditoriale tutelato dalle norme repressive.
    Ricordo che da avvocato mi occupai di una vicenda nella quale la GdF, nell’accedere presso uno studio professionale (architetti) per verifiche inerenti la regolarità del software utilizzato in sintesi (ed in effetti) soprintendeva alla verifica condotta concretamente da un responsabile della BSA ossia l’organizzazione che ha come scopo la tutela dei diritti dei propri associati (fra i quali figurano primarie software house quali Adobe, Apple, Autodesk, Avid, Microsoft ecc.).
    Io trovo questo davvero inaccettabile in uno stato di diritto: costoro non dovrebbero intervenire se non come parte e non come ausiliario degli organi di indagine.

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