Il libro al centro del lettore

Questa seconda generazione di eBook (basati sul formato ePub) sta dando vita ad un’intensa discussione sul tema “Editoria digitale”. Purtroppo, tra molte analisi di tutto rispetto cominciano a spuntare anche alcuni equivoci che è meglio redimere al più presto. Per fare qualche esempio concreto, credo che si possa partire dall’articolo “Il lettore al centro del libro” di Giuseppe Granieri, apparso su La Stampa Online dell’11 Ottobre 2010. Ovviamente, il povero Granieri non ha colpe: si limita a riportare tesi di altri (tra l’altro perfettamente accettabili e dignitose). Ci offre solo gli spunti necessari ad una riflessione.

Qui di seguito trovate le mie osservazioni su questi temi. Per una volta, mi prendo la libertà di fare l’avvocato del Diavolo e di difendere tesi (apparentemente) opposte alle mie abituali. Sono sicuro che capirete subito le ragioni di questa scelta.

Customer-driven business

Il primo equivoco riguarda la possibilità di eleggere il lettore (consumatore) al rango di nostro consulente nella progettazione e nella commercializzazione di un libro (o di un qualsiasi altro prodotto):

“«L’interazione diretta con i lettori resa possibile dal digitale», dice la Barnsley, «tenderà ad alleviare il problema. La più grande sfida per l’editoria di oggi è quella di adeguarsi alla necessità di costruire un business centrato sui lettori», mentre prima l’interlocutore privilegiato di un editore erano le librerie e gli intermediari. «Gli editori», conclude, «assomiglieranno sempre più ad uno staff di marketing».”

Da un lato, è sicuramente vero che qualunque azienda deve tener ben presente la natura del suo pubblico e le sue necessità per evitare di progettare, produrre e commercializzare un prodotto od un servizio di cui nessuno sente il bisogno. Dall’altro lato, però, è molto pericoloso delegare queste attività all’utente finale per la banale ragione che l’utente finale non ha le caratteristiche necessarie per svolgere questo ruolo. Semplicemente, non è il suo mestiere.

Provate a pensare per un attimo a cosa succederebbe se provaste a raccogliere le proposte di un ipotetico “lettore-tipo” riguardo al prossimo best-seller da pubblicare. Probabilmente ricevereste risposte di questo tipo:

“Ah, si, guardi, mi dia anche due etti di Marquez e due crostini di Saviano. Si, bravo, poi ci metta anche un litro di Baricco e due porzioni di Calvino. Si, e poi non si dimentichi il mio solito Bassani e due etti di Tamaro.”

Ma davvero si può pensare di produrre un best-seller in questo modo?

Dietro questa tesi si nasconde l’ipotesi di avere un “lettore-tipo” (“consumatore-tipo”) che sia rappresentativo dell’intero mercato e che si possa interrogare per ottenere informazioni attendibili. Ovviamente, non può essere così. Il mercato è formato da una enorme quantità di sottocasi diversi l’uno dall’altro e quindi le risposte che si possono ottenere in questo modo sono per loro stessa natura contraddittorie e fuorvianti. Se si decide di “seguire il mercato” in questo modo ci si condanna con le proprie mani ai biblici quarant’anni di vagabondaggio nel deserto delle opinioni.

Se c’è un posto in cui la democrazia NON può trovare accoglienza, quello è il tavolo da disegno sul quale si progetta un prodotto, una campagna di marketing od uno qualunque dei processi tipici di un’attività economica. In tutti questi casi, è necessaria una figura dittatoriale che sappia imporre la propria visione del futuro prodotto e che sappia guidare il mercato verso di esso. Una figura come Steve Jobs, Enzo Ferrari o Leo Longanesi. Solo in questo modo si può ottenere un prodotto focalizzato e coerente, in grado di ritagliarsi uno spazio nell’immaginario collettivo (“lo” smartphone di Steve Jobs, “la” Ferrari, “il” commissario di Simenon).

Relazioni e Copyright

Un altro equivoco riguarda la possibilità di affiancare o rimpiazzare il concetto di “proprietà intellettuale” con una più proficua relazione editore/lettore (o consumatore/produttore):

“Shatzkin, d’accordo con la Barnsley, suggerisce che il focus sui lettori sarà vitale. «La relazione diretta con i lettori diventerà sempre più importante, tanto da diventare per gli editori più strategica del controllo del copyright».

Si tratta di due temi diversi. Da un lato, è sicuramente necessario stabilire una proficua collaborazione tra editore e mercato, come fanno da sempre O’Reilly, Packt Publishing, Manning, Apress e varie altre case editrici del settore I&CT.

Dall’altro, questa “permeabilità” della casa editrici ai lettori (ed ai potenziali autori) non ha niente a che fare con la gestione del copyright. Non si può pensare che il consumatore sia disposto a pagare per un prodotto solo perché si sente in debito morale con il produttore.

Come ho già detto in altre occasioni, è necessaria una politica di prezzi che sfrutti i risparmi resi possibili dall’abolizione della carta per raggiungere livelli di prezzo così bassi da rendere superflua la copia pirata.

Francamente, mi posso sentire in debito nei confronti di O’Reilly per il Camel Book su Perl (in formato digitale) per 7 od 8 €, non per 25 o 30. Per cifre di questo livello, pretendo di avere anche la carta.

Link-driven business

Una forma ancora più aberrante di “customer-driven qualcosa” è quella che pretende di basare le valutazioni di merito sulla quantità e/o qualità dei link.

Se da un lato è vero che più link significano più popolarità, e che link che provengono da pagine a loro volta molto popolari sono più significativi di altri, è anche vero che i link sono solo link. Non significano niente in termini di apprezzamento e non eleggeranno mai il prossimo Premio Strega od il prossimo Campiello.

Anche i siti dei neonazisti americani sono molto linkati: dalle pagine delle scuole e delle università che li citano come esempi di idiozia che, se imitati, portano all’automatica espulsione dalla scuola/università.

Siamo sicuri che sia questo il tipo di notorietà a cui dobbiamo o possiamo ambire? Siamo sicuri che sia accettabile qualunque tipo di attenzione, purché il pubblico ci degni di attenzione?

Reader-driven linking

E poi, siamo sicuri che a generare i link sarebbero i lettori dei nostri libri? Le statistiche sembrano confermare che i lettori dei testi di narrativa e di saggistica si tengano accuratamente alla larga da Internet e dal web. Chi sarebbe, allora, a generare questi link?

Le recensioni possono sostenere gli autori?

Credo che bisognerebbe riflettere con attenzione anche su analisi come questa:

“E’ un cambio importante di paradigma. La grammatica del digitale, come abbiamo detto spesso, costruisce la visibilità del content (e quindi anche dei libri) attraverso i link. Le recensioni e le segnalazioni dei lettori (nei social network e/o sui blog) diventano come strade che portano al titolo e i titoli serviti da più strade e con le strade più frequentate saranno quelli più accessibili. In questa metafora il libro è un negozio e i lettori disegnano l’urbanistica. Ma si può usare anche l’esempio di YouTube: un deposito immenso di contenuti video che è reso usabile da milioni di persone che segnalano i contenuti a gente con interessi affini. Le enormi librerie virtuali (come Amazon) sono rese usabili -allo stesso modo- dai lettori.”

Questo discorso si basa su alcuni assunti teorici che non sempre si verificano. Ad esempio, perché esistano queste ipotetiche “strade”, è necessario che i lettori recensiscano e commentino i libri in un incessante lavorìo che assomiglia molto a quello dei redattori professionali ma che non prevede nessun compenso. La pratica ci ha già insegnato che, quando non c’è remunerazione, i “blogger” recensiscono soprattutto ciò che li infastidisce (come sto facendo io stesso in questo momento). Le prime cose che vengono meno in questo scenario, sono l’equilibrio e la professionalità.

Si può davvero basare la comunicazione aziendale su questi presupposti volontaristici? Si può davvero pensare che i blogger siano al servizio dell’editore? O non c’è piuttosto da temere che siano lupi, nascosti nell’ombra là fuori, pronti ad azzannare chi si avventura sul mercato senza le necessarie cautele?

Distribuire informazioni o vendere avventure?

A volte non è chiaro nemmeno a quale gioco l’editore vorrebbe giocare:

“Nella Storia ci sono state diverse discontinuità forti (il passaggio alla stampa per esempio) che hanno sempre implicato una «volgarizzazione» della cultura «come funzionava prima». La volgarizzazione che l’amanuense vedeva nella stampa («non ha il pregio delle nostre miniature») era solo un aumento di scala nell’efficacia del sistema attraverso cui gestiamo la conoscenza.”

Distribuire informazioni, come fece Gutenberg, è un gioco ed ha le sue regole. Al giorno d’oggi, lo si gioca al meglio attraverso il web. I libri digitali non hanno speranze in questo settore. La “volgarizzazione”, in questo caso, consiste solo nella rimozione di ciò che non è essenziale.

Vendere libri, è un altro gioco ed ha altre regole. In questo momento, è difficile dire se e come questo gioco possa essere giocato su Internet ma di sicuro va giocato in un modo diverso dall’altro caso. In questo caso, entrano in gioco termini come “fascinazione”, “risonanza emotiva”, “riconoscimento”, “scoperta”, “avventura”, che nell’altro caso solitamente sono assenti.

A quale di questi due giochi si vuole giocare? Chi è l’avversario? Murdock o Longanesi?

L’ingegnerizzazione dell’interazione sociale

A quanto pare, ci si aspetta molto anche dal “tagging”:

“Un’altra partita importante si gioca sul versante dgli algoritmi e delle funzioni di ricerca. Anche lì, la lezione di Amazon è quella di utilizzare l’esperienza e la cognizione dei lettori o, per dirla con le parole di O’Reilly «mettere l’intelligenza dei lettori nell’interfaccia». Quindi, ancora una volta, ciò che un lettore gradisce diventa un’informazione utile per i lettori che vengono dopo.”

Bisogna però tenere presente che anche in questo caso si assiste, in realtà, alla semplice ingegnerizzazione di un processo sociale che esisteva anche prima. Il web lo rende solo più evidente (sotto forma di tag cloud e di strumenti simili) e più immediato.

Di conseguenza, la presenza di questi strumenti non cambia le regole del gioco ma si limita ad enfatizzarne gli effetti. Il libro che nessuno leggeva prima, diventerà ora il libro che nessuno tagga. Il libro di successo di prima diventa ora la voce più “grossa” della tag cloud. Nessuno di questi meccanismi potrà tramutare un perdente in un vincitore o viceversa.

La sola capacità di portare questi processi all’interno del sistema (piazzare il plug-in del tagging dentro Joomla…) NON vuol dire essere in grado di produrre un singolo libro più appetibile di quanto lo si sarebbe potuto fare prima.

Matching e Flooding

In realtà, più che un miglioramento nelle capacità di “matching” tra domanda ed offerta, c’è da aspettarsi un vero “flooding” di prodotti:

“In un post appassionato, intitolato Come le recensioni possono sostenere gli autori, Tara scrive: «Grazie ai molti blogger che prendono a cuore la causa, che amano leggere e che dedicano del tempo a recensire libri che altrimenti venderebbero una ventina di copie alla famiglia dell’autore, oggi magari possiamo venderne qualche centinaio».
E qui si tocca un altro tema ancora. La facilità di pubblicazione aumenterà considerevolmente il numero di titoli in circolazione, già enorme oggi. É un passaggio perfettamente in linea con le storia delle nostre società, che hanno sempre seguito un percorso di distribuzione più efficace della cultura, di più facile accesso per un numero maggiore di persone, di costi più bassi, eccetera.”

Ed infatti, gli osservatori si aspettano un forte contributo dei lettori stessi per mantenere sotto controllo questa belva impazzita:

“E uno degli impatti più forti dell’aumento di scala che vediamo iniziare in questi anni è l’innesto del libro in sistema sociale, sociale perchè talmente complesso che possiamo farlo funzionare solo attraverso l’attività delle persone. L’esperienza degli altri è ciò che ci guida verso le nostre letture. Non è un fatto nuovo: prima avevano i consigli degli amici, ma oggi -appunto- le dinamiche lavorano su scala diversa.”

Ma c’è veramente da contare sull’opera dei volontari? O ci troveremo piuttosto a dover leggere 1000 pagine di commenti prima di poter decidere quali 1000 pagine di testo leggere tra i 1000 libri pubblicati nell’arco del mese?

Conclusioni

Comincio ad avere l’impressione che, nella fretta di “sposare” questa rivoluzione tecnologica e culturale, alcuni osservatori stiano diventando più realisti del Re (o, per restare sul nostro terreno, più digitali del digitale).

L’avvento di Internet, del web e degli ebook (tutta roba che risale ai primi anni ’90, non a ieri…) ha già cambiato e continuerà a cambiare lo scenario in cui viviamo ed in cui operiamo come imprenditori e lavoratori ma NON ha cambiato e NON cambierà i meccanismi di base della nostra vita o del nostro modo di commerciare.

Scrivere libri di narrativa resta una questione di “fascinazione” e coinvolgimento del lettore. Vendere libri resta una questione di rapporto costo/ricavo (“Cosa mi dai in cambio dei miei euri?”). La presenza di Internet, del web, degli eStore, delle reti sociali e via dicendo, sposta solo la scena della rappresentazione su un palcoscenico diverso da quello abituale e ne comprime i tempi fino al limite fisico ma NON ne cambia né il soggetto né il canovaccio.

Per queste ragioni, credo che sia necessario comprendere a fondo, e tenere ben presenti, i meccanismi fondamentali del business “tradizionale” prima di lanciarsi nella adozione di questa o quella innovazione.

Alessandro Bottoni

L’immagine è quella di un plastico per il recupero della miniera di Monteponi, in Sardegna, e proviene da qui:

flickr.com/photos/20896325@N00/2537434318

Vedi anche:

http://it.wikipedia.org/wiki/Monteponi

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